giovedì 3 febbraio 2011

Mosca 1939. Dinamo-Spartak 0-1, una storia di calcio e ribellione...

Spartak_squadra

Cosa c’entra il calcio con gli intrighi di potere della nomenklatura stalinista degli anni ’30? Perché il nome di una delle più importanti squadre di calcio moscovite evoca il leggendario Spartaco, e la grande rivolta degli schiavi che portò alla terza guerra servile?



Fin dai tempi dell’antica Roma, il potere ha interpretato le grandi manifestazioni sportive di massa come luogo di costruzione del consenso. Dalle Satire di Giovenale è giunta fino ai nostri giorni la locuzione latina panem et circenses, che richiama una pratica politica, inaugurata durante il periodo repubblicano e proseguita durante tutta l’epoca imperiale, che vedeva i personaggi pubblici offrire derrate alimentari – panem – e spettacoli gladiatorii o di corsa dei cavalli – circenses – alla plebe per guadagnare popolarità.
Non c’è dubbio che il potere abbia spesso beneficiato dell’organizzazione di grandi manifestazioni sportive per rinsaldare la propria base di consenso. Per fare soltanto un esempio, si è sempre pensato che la giunta militare golpista che ha guidato l’Argentina dal 1976 al 1983 non sarebbe sopravvissuta senza l’iniezione di popolarità dovuta alla vittoria, da parte della nazionale albicieleste, della finale dei mondiali di calcio del 1978, giocata in quello stesso stadio di Buenos Aires nel quale centinaia di dissidenti sarebbero poi stati torturati e giustiziati. E tuttavia, proprio la grande popolarità di alcuni personaggi sportivi ha spesso reso possibili aperte sfide al potere.

Non è un caso che la più grande rivolta degli schiavi contro il potere romano, la famosa rivolta di Spartaco del 73 A.C., abbia preso le mosse proprio dalla scuola gladiatoria della città di Capua, in Campania, e che sia stata guidata da un gladiatore, che godeva di grande popolarità per le proprie imprese nell’arena. Così come non è un caso che dagli stadi di calcio sia scaturita la più aperta e provocatoria sfida alla NKVD, la potentissima polizia segreta staliniana, ed al suo capo, Laurentij Berija. E proprio da parte di una squadra di calcio, lo Spartak Mosca, che dallo schiavo ribelle aveva preso il nome.
Il regime sovietico capì fin da subito le potenzialità del calcio come strumento di consenso. Nel 1923 il calcio sovietico subì una radicale trasformazione da parte del regime, che ristrutturò le società di calcio “su base dipartimentale”: ciascuna Yashinsquadra cadde sotto il controllo di un particolare settore dell’amministrazione. Fu così, ad esempio, che il CSKA Mosca diventò la squadra dell’esercito, la Lokomotiv Mosca la squadra delle Ferrovie, e la Dinamo Mosca cadde sotto il controllo del Ministero degli Interni, divenendo la squadra della polizia segreta, la Ceka, in seguito chiamatasi NKVD ed, infine, KGB. Essere la squadra di un particolare dipartimento significava non soltanto che il controllo amministrativo e sportivo sulla squadra era esercitato dai funzionari del dipartimento, ma che i calciatori stessi, almeno formalmente, erano rispettivamente soldati, ferrovieri o agenti della polizia segreta. La rivalità tra le varie squadre non si esauriva sul piano sportivo: l’affermazione della squadra calcistica di un certo dipartimento confermava, agli occhi del popolo, l'importanza del personaggio politico cui quel dipartimento faceva riferimento nella gerarchia del partito. Le squadre di calcio divennero, nel giro di poco tempo, un terreno di scontro sul quale contendere il primato politico, ed i calciatori, pur essendo figure certamente privilegiate nel panorama sociale sovietico, si trovarono ad essere sottoposti a pressioni politiche inimmaginabili.
Laurentij Berija, potentissimo funzionario della polizia politica segreta, braccio Berijadestro di Stalin – per il quale organizzò le più massicce purghe dei famigerati anni ’30 -, con un velleitario passato giovanile di calciatore, esercitò più di ogni altro la propria influenza politica sul calcio. Pur arrivando a capo del NKVD solo nel 1938, già da alcuni anni era di fatto il padrino riconosciuto della Dinamo Mosca. La propria influenza politica, ed il terrore esercitato in quegli anni dalla polizia segreta, erano gli strumenti con cui Berija condizionava il mondo del calcio, sia per quanto riguarda gli arbitraggi – i tifosi delle altre squadre moscovite indicavano quelli della Dinamo con l’appellativo di “ladri” -, sia per quanto riguarda l’assicurarsi le prestazioni dei calciatori migliori. Non c’è dunque da sorprendersi che, in concomitanza con l’irrefrenabile ascesa politica di Berija e con il dilagare della repressione staliniana, la Dinamo Mosca dominasse il panorama calcistico sovietico.
Ma un’altra potenza del calcio sovietico, con ben altre origini, stava nascendo. La storia dello Spartak Mosca è indissolubilmente legata a quella del suo fondatore e Starostin_broscapitano Nikolaij Starostin, grande atleta capace di affermarsi sia nel calcio che nell’hockey su ghiaccio, i due sport più popolari in Russia. Lo Spartak Mosca fu il risultato di anni di sforzi, portati avanti da Starostin e dai suoi 3 fratelli, tutti calciatori professionisti, attorno al nucleo originario del Moscow Sport Circle, per costituire una squadra di calcio libera dall’ingerenza politica, ed organizzata attorno ad un sindacato operaio, il sindacato dei lavoratori del settore alimentare. Un ruolo fondamentale in questo processo fu giocato anche da Alexander Kosarev, segretario del Komsomol (l’Unione dei Giovani Comunisti), che aiutò Starostin nell’opera organizzativa e nel trovare uno stadio per lo Spartak (proprio come per i fratelli Starostin, anche su Kosarev si abbatté la vendetta di Berija). Il nome Spartak, in onore di Spartaco, fu scelto da Starostin nel 1935.
Nel 1936 il calcio sovietico subì un’altra grande ristrutturazione, che portò alla nascita di un campionato e di una coppa dell’Unione Sovietica. La rivalità tra la Dinamo e lo Spartak divampò immediatamente, e il duello fu subito interpretato come un confronto tra la squadra che rappresentava il potere politico e la squadra che rappresentava le istanze popolari represse dal regime. La Dinamo si aggiudicò il campionato di primavera, lo Spartak quello autunnale, mentre la coppa fu vinta dalla Lokomotiv. Il 1937 si chiuse con il trionfo della Dinamo in tutte le competizioni. Nel 1938 Stalin nominò Berija a capo del NKVD. Tutto lasciava pensare che nessuno potesse più interrompere la supremazia calcistica della Dinamo.
Ma secondo un vecchio adagio del calcio, nonostante una stretta repressiva sempre più sanguinaria, nonostante una supremazia politica ed economica schiacciante da parte della Dinamo, nonostante tutto questo, “la palla è rotonda”, e nel 1938 lo Spartak, guidato dalla grinta e dalla determinazione dei fratelli Starostin e dal supporto delle classi popolari moscovite, si aggiudicò la vittoria in tutte le competizioni. Berija era furioso, ma la popolarità di cui i fratelli Starostin godevano in quel momento era tale da sconsigliare qualunque ritorsione. Nel 1939 il copione sembrava non dover cambiare. La superiorità tecnica dello Spartak era indiscutibile, e le due acerrime rivali arrivarono ad affrontarsi in semifinale. Lo Spartak vinse nettamente l’incontro, e Berija non ci vide più. Sfruttando tutta la propria influenza riuscì ad ottenere che l’incontro venisse ripetuto due settimane dopo. Nel frattempo, esercitò pressioni e minacce fortissime sull’entourage dello Spartak affinché perdesse la partita.
Starostin sapeva di avere dietro di sé tutta Mosca, e decise di non piegarsi alla Spartak_tifosirichiesta di Berija. In un clima di altissima tensione, andò in scena il secondo round di una partita che lo Spartak aveva già dimostrato di poter vincere. E così fu: la partita terminò 1-0 per lo Spartak, e al fischio finale Berija prese a calci la poltrona sulla quale assisteva al match. Lo Spartak vinse poi anche la finale, concludendo il 1939 con la vittoria di tutte le competizioni, per il secondo anno consecutivo. La popolarità della squadra non era mai stata così elevata: nessuno aveva mai inferto al capo dell’apparato della repressione staliniana uno schiaffo tanto aperto ed evidente. Starostin era riuscito ad esporre il potere al pubblico ludibrio in un modo molto più pericoloso di quanto non potessero fare gli intellettuali o gli artisti dissidenti, sui quali il braccio della repressione poliziesca poteva abbattersi senza temere di innescare sommosse popolari.
La Dinamo Mosca riuscì ad affermarsi di nuovo nel campionato del 1940, ma questa soddisfazione non bastava a cancellare i propositi di vendetta di Berija. Nel 1941 Hitler dette il via all’Operazione Barbarossa: l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito tedesco, in violazione del patto di non aggressione stipulato da Molotov e Ribbentrop nel 1939. Con l’avvento della guerra, il campionato di calcio fu interrotto, e l’Unione Sovietica concentrò tutte le proprie forze nella resistenza all’invasore nazista. La macchina della propaganda funzionava a pieno regime nell’esaltare l’eroismo dei soldati sovietici, e tutta l’attenzione pubblica fu rivolta allo sforzo bellico. Il capitale di attenzione pubblica accumulato dai fratelli Starostin, che era stato fino a quel momento la loro polizza sulla vita, venne presto trascinato via dall’impetuoso scorrere degli eventi. Era giunto il momento, per Berija, di gustarsi la tanto attesa vendetta.
Nella notte del 20 marzo 1942 gli agenti del NKVD, secondo il consueto modus operandi, irruppero in casa di Starostin, dei suoi fratelli, e di altri giocatori dello Spartak, con l’accusa di aver preso parte ad un complotto per assassinare Stalin. Dopo due anni di prigionia e di interrogatori nel famigerato carcere Lubyanka, le accuse di complotto vennero lasciate cadere, ma i fratelli Starostin furono comunque condannati a 10 anni di lavori forzati in Siberia con l’incredibile accusa di aver praticato il calcio in modo borghese.
In virtù della loro popolarità, Starostin e gli altri subirono un trattamento particolarmente benevolo nel gulag, riuscendo a sopravvivere fino al 1948, anno in cui Vasily, figlio di Stalin e capo dell’Aviazione Militare, nonché rivale di Berija, Sarostin_nikottenne di poter riportare Starostin a Mosca, per allenare la squadra di calcio dell’Aviazione. Nonostante la protezione di Vasily, Berija riuscì a catturare nuovamente Starostin, e alla fine si giunse ad una soluzione di compromesso che lo vide esiliato in Kazakhstan, ad allenare squadre locali. Nel 1953 Stalin morì, Berija fu sconfitto nella lotta alla successione e fucilato, e Starostin beneficiò della riabilitazione politica di molti dissidenti che si ebbe durante il cosiddetto processo della destalinizzazione. Poté così tornare a guidare lo Spartak Mosca, in qualità di presidente, fino alla morte avvenuta nel 1992. Sotto la sua presidenza, lo Spartak conquistò altri 9 campionati sovietici, 8 coppe sovietiche, un campionato russo, e raggiunse le semifinali della Coppa dei Campioni del 1990-91.
Questa è soltanto una delle numerose storie in cui il calcio, lo sport popolare di massa per eccellenza, incrocia le vicende politiche della propria epoca, condizionandole e venendone condizionato. Spesso il calcio è stato strumento al servizio del potere, qualche volta è stato terreno di coltura per i germi della ribellione. Con questo pezzo intendiamo inaugurare una rubrica che racconti queste storie, spesso ignorate o dimenticate.

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