venerdì 11 febbraio 2011

Il calcio rivoltato. La ribellione dei calciatori tunisini ed egiziani




di Mauro Valeri
Sono diversi i mass media che hanno evidenziato come alle proteste che stanno interessando diversi paesi del nord Africa abbiano partecipato o partecipino anche calciatori, allenatori e tifosi. In Tunisia, ad esempio, già nei primi gironi della protesta contro Ben Alì, c’era stata una decisa presa di posizioni da parte dei calciatori. Tra i primi a protestare sono stati i giocatori dell’Esperance Sportive de Tunis, la squadra più importante del paese.
Di fronte alla demenziale sproporzione tra la povertà di milioni di persone e lo stipendio di 70mila dollari al mese garantito dal presidente della squadra, Hamdi Meddeb, al nuovo allenatore, Nabil Maaloul, i calciatori hanno deciso una curiosa quanto efficace forma di sabotaggio: nella partita che li opponeva all’Etoile du Sahel, si sono fatti segnare ben cinque reti senza opporre alcuna resistenza.
Poi hanno deciso di fermare il campionato, anche per permettere a molti tifosi (e a molti degli stessi calciatori) di partecipare alle proteste di piazza. Solidale con il popolo e i manifestanti anche l’allenatore, Rabah Saadane (già ct della Nazionale algerina), che ha rinunciato a sedere sulla panchina dello Yemen con questo commento: “Ringrazio per l’offerta generosa, ma in questo momento è un insulto guadagnare altro denaro mentre la mia gente muore di fame per le strade”.
Una interessante versione magrebina del salary cap! Altrettanto curioso l’autoesonero del ct della Nazionale tunisina, Fouzi Benzarti all’indomani della caduta di Ben Alì. Dopo aver confessato che aveva accettato di fare l’allenatore solo perché obbligato dal dittatore, Benzarti ha lasciato l’incarico dichiarando: “Ora che non c’è più, mi sento libero come il mio popolo”. Libero anche di non essere più utilizzato per alimentare quel panem e circenses (sempre più “circo” e sempre meno pane, verrebbe da dire), a cui molti dittatori vorrebbero relegare il calcio. All’appello della piazza non sono mancati i tifosi, specie quelli delle due squadre di Tunisi, l’Esperance e il Club African, in genere molto propense a scontrarsi, che invece nei giorni della protesta hanno trovato parole d’ordine comuni: oltre a pane e lavoro, hanno manifestato per la “’libertà per gli ultrà incarcerati, l’abolizione del locale daspo e del divieto di introdurre (e usare) fumogeni negli stadi” (Il Manifesto, 26 gennaio 2011).
Al Cairo, invece, tra i milioni di manifestanti, sono state notate moltissime magliette rosse dell’Al-Ahly, la squadra della capitale, che è anche la più blasonata del paese e dell’intero continente. A mettersi in evidenza sono stati soprattutto gli Ultrà Ahlawy, il primo gruppo ultrà organizzato dell’Egitto (è stato fondato nel 2007), che ha aderito ufficialmente alla protesta di piazza. Alessandra Cardinale, su Il Fatto Quotidiano del 9 febbraio, riporta le parole di Assad, ventenne, presentato come “capo ultrà del Al-Ahly”: “Gli ultras sono tra le persone che protestano nelle strade e spesso siamo proprio noi a guidare i nostri fratelli e le nostre sorelle (…). Chi meglio di noi conosce i metodi della polizia? (…) Il governo ha avuto sempre paura di noi perché è difficile inquadrarci ideologicamente, per questo diamo fastidio”. Accanto ai tifosi, in piazza al Cairo, come ha ricordato Stefano Boldrini su La Gazzetta dello Spot dell’8 febbraio, è sceso anche Wael Gomaa, simbolo dell’Al-Ahly e della Nazionale (e per molti considerato l’attuale miglior difensore di tutta l’Africa): “Io sono al fianco del mio popolo. In Egitto ci sono troppe ingiustizie sociali, troppa disparità tra ricchi e poveri. Bisogna intervenire e pensare anche al futuro. I nostri giovani non hanno speranze nell’Egitto attuale: dobbiamo aiutarli… Mubarak ha fatto il suo tempo: l’Egitto non può più aspettare”. ”
Difficile immaginare simili situazioni in Italia, soprattutto vedere una partecipazione di giocatori e allenatori ai problemi del paese (è di fatto immaginabile un Del Piero che, nella trattativa per il suo nuovo ingaggio – quello scaduto era di 7.5 milioni di euro netti in due anni, cioè 312.500 euro al mese – faccia un gesto di solidarietà verso gli operai Fiat o i precari di Torino!). Che il futuro sia nelle mani degli ultras?

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