mercoledì 30 gennaio 2013

Hasta siempre Spagna!

29/01/1995 - 29/01/2013
Vivere nel cuore di chi resta
non è morire!
Ciao Spagna!


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martedì 29 gennaio 2013

ScuP è tornato!

Ieri, oggi e ancora....

Dopo la giornata di ieri gira e rigira nella testa la formula "Speculazione di Stato", che abbiamo individuato per sintetizzare la vicenda di Scup.
Adesso mostra ancor di più tutta la sua attinenza.
Uno stabile pubblico, del Ministero dei Trasporti, viene conferito ad un fondo immobiliare ( il FIP, gestito dalla Banca Finnat). Da quel momento però lo Stato non solo perde un bene, ma comincia a pagare una locazione al FIP che dopo lo vende ad una società immobiliare farlocca. Di proprietà di prestanome, Morelli Fernando e Pagliuca Fiorella, rispettivamente di anni 80 e 73, formalmente inattiva, con un attivo di 10.000 € e debiti per 4.829.345,00. Tipi da compro oro per riciclare il denaro sporco, scommesse clandestine o cose così.
Ieri l'ennesima puntata di questa operazione da furbetti del quartierino pagati con le nostre tasse. Lo sgombero. Camionette, divise, un posto bellissimo messo sotto sopra.
Forse perchè a Scup era stato individuato l'ultimissimo latitante dei casalesi, o forse si nascondeva uno dei trentotto figli di Osam Bin Laden?
No. Le risorse pubbliche, la fatica della gestione dell'ordine pubblico, lo spavento provocato ad un intero quartiere, e anche ai bambini che frequentano Scup, sono stati spesi perché il Demanio doveva consegnare all'acquirente ( la prestanome in odore di riciclaggio) lo stabile.
A Scup è rinato il pubblico svilito da uno Stato che si mette a fare il broker. Sport e servizi culturali per il quartiere. E una generazione a cui i politici dicono di tutto ( bamboccioni, perduti, choosy) che si riscatta, che occupa per produrre ricchezza ( non per fare PIL, non per abbattere lo spread). Noi lo chiamiamo comune.
Ecco, nella puntata di ieri, si trabocca. lo Stato diventa il braccio operativo della truffa privata. Sgombera il pubblico per dare al privato. "Privato" a tutti, appunto.
Ma improvvisamente succede.
Tanta Solidarieta, tanto sdegno, tanto riscatto dai tanti che vogliono bene a Scup, ma che in generale non accettano la cappa al nuovo welfare alla creatività alla ricchezza.
Blocchiamo la strada con le lezioni di sport e cultura, una grande assemblea e poi partiamo in corteo. Siamo centinaia, raccolti in poche ore. Primo round. È solo ora di pranzo. Pranzo offerto dalla cucina degli scupiat(t)i, ovviamente.
Si continua, rimaniamo, a via Nola, il pomeriggio continua, montiamo la biblioteca. I libri che ci ha donato il quartiere, la cultura cooperante, è insgomberabile. Sarebbe come arrestare un file condiviso. O fare recipienti di wi-fi, o voler fermare un sogno a colpi di realtà. Soprattutto adesso che è sempre più chiaro che, in questo tempo di crisi, occupare è un modo per emanciparsi, per ridistribuire la rendita, e per prendere il futuro. Una pratica, che noi condividiamo con tanti. E speriamo sempre con più.
#torniamosubito circola tra noi e cinguetta nella rete.
Così nel pomeriggio ripartiamo in corteo e in centinaia, in tantissimi, occupiamo il deposito Atac di via Monza 39. Scup continua la sua esperienza pubblica. Continua il progetto e soprattutto la nostra sfida.
#torniamosubito e facciamo tappa qui. Storditi, certo. A testa alta, pure.
Ringraziamo i compagni e le compagne, le persone che hanno dato un contributo e in generale le tante e i tanti che ieri hanno sentito una fitta, si sono sentiti feriti e che con noi vogliono continuare a costruire welfare, ricchezza, comune. Grazie voi Scup continua

Daje ScuP torna subito!

ScuP rappresenta una delle esperienze più interessanti, emerse nell'ultimo anno, di riappropriazione di spazi pubblici per farne un bene comune.
Nella Roma dei palazzinari e delle speculazioni edilizie, un'ex-motorizzazione abbandonata da anni riprende vita attraverso una palestra popolare, una biblioteca, un mercato biologico mensile, una radioweb, una ludoteca, corsi di formazione e lingua.
Esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza a chi in questi mesi nello spazio di via Nola ha costruito uno sport e una cultura dal basso. Ancora una volta la risposta di Alemanno e delle istituzioni è mandare le forze dell'ordine per provare a fermare un'idea  di sport e città lontana dal business e dalla rendita. Lo sgombero di  oggi è l'esemplificazione di una politica che vuole tagliare il welfare, la socialità, la cultura per favorire i soliti noti.
Siamo convinti che anche questa volta non ci riusciranno.
ScuP tornerà presto.

Asd Sport alla Rovescia: Polisportiva Independiente Vicenza, Polisportiva San Precario Padova, Polisportiva Assata Shakur Ancona, Hic Sunt Leones Bologna, Palestra Popolare Tpo Bologna, Palestra Popolare Rivolta Marghera, La Paz antirazzista Parma, Autside Rimini, Polisportiva Ackapawa Jesi

martedì 22 gennaio 2013

Fracassamento di coglioni


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Vedere il video degli studenti padovani caricati dalla polizia il 14 Novembre anticipato dall'ordine "fracassateli tutti" e leggere che gli otto poliziotti, imputati per il pestaggio di Paolo Scaroni, siano stati tutti assolti è un qualcosa che fa salire lo spread dell'acabismo alle stelle. La vicenda di Paolo, massacrato di botte dalla Polizia, uscito dal coma per miracolo e ora invalido al 100%, è stata vergognosamente taciuta per anni ed è incredibile come non sia emersa al di fuori del mondo delle curve. Lo stadio di Verona è da anni una palestra di controllo e repressione e i tifosi ospiti sono spesso valvola di sfogo per i celerini. Ecco la vicenda di Paolo in sintesi, perchè ancora troppi pochi ne sono a conoscenza.


 Un giovane tifoso del Brescia massacrato a manganellate che finisce in coma. I medici lo danno per spacciato: se ce la farà a sopravvivere, dicono ai genitori, "sarà un vegetale". Dopo più di un mese di buio, invece, il ragazzo si risveglia. Parla, anche se con molta fatica. E' ancora intubato quando, alla fine del 2005, comincia a raccontare tutto a una poliziotta, che ha il coraggio di aprire un'inchiesta sui colleghi. La commissaria indaga in solitudine. Scopre verbali truccati. Testimonianze insabbiate. Filmati spariti. Poi altri poliziotti rompono l'omertà e sbugiardano le relazioni ufficiali di un dirigente della questura. Un giudice ordina di procedere. E adesso, a Verona, sta per aprirsi un processo simbolo contro otto celerini del reparto di Bologna. Una squadraccia, secondo l'accusa, capace non solo di usare "violenza immotivata e insensata su persone inermi", ma anche di inquinare le prove fino a rovesciare le colpe sulle vittime. "L'Espresso" ha ricostruito i retroscena di quella misteriosa giornata di guerriglia tra tifosi e polizia, con testimonianze e filmati inediti, scoprendo un filo nero che collega tanti casi in apparenza separati di degenerazione delle divise. Un viaggio nel male oscuro che contamina e divide le nostre forze di polizia.

"La mia storia è simile a quella di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani... La differenza è che io sono ancora vivo e posso parlare". Paolo Scaroni oggi ha 34 anni e il 100 per cento d'invalidità civile. Cammina per Brescia, la sua città, strascicando un piede rimasto paralizzato. La voce esce spezzata e lui se ne scusa ("Sono i postumi del trauma"): "Sono molto legato ai familiari di Aldovrandi. Suonava il clarinetto come me, nelle nostre vicende ci sono coincidenze incredibili. Io sono stato massacrato alle otto di sera, lui è stato ammazzato la stessa notte, sei ore dopo. Ora vogliamo fondare un'associazione: familiari delle vittime della polizia". Suo padre, bresciano di Castenedolo, capelli bianchi e mani callose, riassume il problema scuotendo la testa: "Ho sempre avuto rispetto delle forze dell'ordine. Ma adesso, quando vedo un'uniforme, non ho più fiducia". Quello di Paolo è un dolore speciale: "Oggi la cosa che mi fa più male è che mi hanno cancellato l'infanzia e l'adolescenza. Ho perso tutti i ricordi dei miei primi vent'anni di esistenza"
La vita del ragazzo senza memoria è cambiata il 24 settembre 2005. Paolo, allevatore di tori, fisico da atleta, è in trasferta a Verona con 800 tifosi. Il suo gruppo, Brescia 1911, è il più popolare e radicato. Hanno un loro codice: botte sì, ma solo a mani nude. "Niente coltelli, no droga", scrivono sugli striscioni. In quei giorni si sentono scomodi: tifosi di provincia che protestano contro "i padroni del calcio-tv" e "le schedature". Dopo la partita, i bresciani vengono scortati in stazione. E qui si scatena l'inferno: tre cariche della celere, violentissime. L'inchiesta ha identificato 32 tifosi feriti, quasi tutti colpiti alla schiena. Foto e video recuperati da "l'Espresso" mostrano, tra gli altri, una ragazza con il seno tumefatto e altri due giovani con trauma cranico e mani fratturate. Paolo ha la testa fracassata: salvato dagli amici, si rialza, vomita, sviene. Alle 19,45 entra in coma. L'ambulanza arriva con più di mezz'ora di ritardo.

Secondo la relazione ufficiale firmata da F. M., dirigente della questura di Verona, la colpa è tutta dei tifosi. Il funzionario dichiara che gli ultras bresciani "occupavano il primo binario bloccando la testa del treno", con la pretesa di "far rilasciare due arrestati". Appena le divise si avvicinano, giura il pubblico ufficiale, "il fronte dei tifosi assalta i nostri reparti con cinghie, aste di ferro, calci, pugni e scagliando massi presi dai binari". La celere li carica "solo per prevenire violenze sui viaggiatori". Paolo non è neppure nominato: una riga nella penultima pagina del rapporto cita solo "un tifoso colto da malore a bordo del treno". Chi lo ha picchiato? "Scontri con gli ultras veronesi", è la prima versione, che crolla subito: la stazione era vuota, dentro c'erano solo i bresciani scortati dagli agenti. Quindi un celerino ne racconta un'altra: Paolo sarebbe stato ferito da "uno dei massi lanciati dagli ultras" suoi amici.
Da quel giorno, per tre mesi, i tifosi di Brescia 1911 smettono di andare allo stadio: la domenica vanno a Verona in ospedale a tifare per Paolo. Che il 30 ottobre, quando ogni speranza sembra spenta, improvvisamente si risveglia durante un prelievo di sangue. In novembre la poliziotta Margherita T. riesce a interrogarlo. Mozziconi di frasi, che ricostruiscono il pestaggio: "Erano almeno quattro celerini, con i caschi. Mi urlavano: bastardo. Picchiavano con i manganelli impugnati al contrario per farmi più male". E non volevano solo immobilizzarlo: i referti medici confermano che Paolo è stato colpito "sempre e solo alla testa".

La poliziotta interroga il personale del treno. E scopre che la storia dei binari occupati dagli ultras era una balla. "I tifosi erano assolutamente tranquilli, noi eravamo pronti a partire: non ho visto nessun atto di violenza, provocazione o lancio di oggetti", dichiarano i macchinisti. Ma chi ha scatenato il caos? Quattro agenti della polizia ferroviaria testimoniano che "i disordini sono cominciati solo quando la celere ha lanciato lacrimogeni dentro uno scompartimento dove c'erano tante donne e bambini piangenti". Particolare importante: "Prima non avevamo visto nulla che giustificasse il lancio del gas". Solo allora "un centinaio di tifosi, arrabbiati e lacrimanti, ci hanno minacciato, chiedendoci come fosse possibile lanciare lacrimogeni su un treno con bambini". Ma subito, dicono gli stessi agenti, "i capi ultras si sono messi in mezzo, facendo da pacieri, per calmare gli altri tifosi dicendo che noi della Polfer non c'entravamo". In quel momento la celere carica l'intera tifoseria. Seguono 30 minuti di macelleria da Stato di polizia.

La verità dei fatti è confermata anche dai funzionari presenti della Digos di Brescia, che la stessa notte cominciano a raccogliere testimonianze e referti dei tifosi feriti. Quindi la poliziotta di Verona scopre che i filmati dei suoi colleghi, che in teoria dovrebbero aver ripreso tutti gli scontri, si interrompono proprio nei minuti in cui Paolo è stato massacrato. Peggio: nella versione consegnata ai magistrati è stato tagliato il commento finale di due agenti. "Adesso il questore ci incarna...". "Ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il...". Fine del filmato della polizia.
Mentre Scaroni passa altri 64 giorni in rianimazione, i suoi amici di Brescia 1911 si tassano per pagargli le spese legali e imbandierano la curva con uno striscione mai visto: "Giustizia per Paolo". Il tam tam unisce decine di tifoserie rivali. In febbraio Brescia è invasa da ultras di mezza Italia. Un corteo con migliaia di tifosi, preceduto da uno storico abbraccio tra i capi delle curve "nemiche" del Brescia e dell'Atalanta. "Non ci interessa che i poliziotti finiscano in galera, noi vogliamo la verità", dice ora Diego Piccinelli, il responsabile di Brescia 1911. "Nessuno potrà ridarmi la memoria o il lavoro", aggiunge Paolo, "ma il mio processo deve fermare i poliziotti violenti: a scatenare la parte peggiore è la sicurezza di farla franca".

Come molti altri processi contro uomini della legge, però, anche questo naviga conrocorrente. Solo la ricostruzione dei fatti, cioè la demolizione delle bugie ufficiali, è durata quattro anni. Il pm di turno a Verona aveva chiesto per due volte l'archiviazione, sostenendo che i caschi impedivano di riconoscere gli agenti picchiatori. Il rinvio a giudizio è stato imposto da un ex giudice istruttore, Sandro Sperandio. Ora finalmente si va in aula: prima udienza il 25 marzo. Ma l'avvocato di parte civile, Alessandro Mainardi, teme un finale all'italiana: "Rischiamo una prescrizione che sarebbe vergognosa. Se non c'è certezza della pena per le forze di polizia, come si può pretendere che i cittadini abbiano fiducia nella giustizia? Sulle responsabilità individuali siamo tutti garantisti. Ma qui, dopo tante menzogne, una cosa è certa: un ragazzo inerme è stato ridotto in fin di vita da una squadraccia che indossa ancora la divisa. Uno Stato civile avrebbe almeno risarcito i danni. Invece, dopo cinque anni, il ministero dell'Interno non si è ancora degnato di offrire un soldo". Tre mesi fa Paolo ha scritto al ministro Roberto Maroni: "La violenza va condannata e l'omertà va combattuta prima di tutto da chi rappresenta la legge". Da Roma nessuna risposta.



Ancora razzismo legato alla Pro Patria

Effetto Boateng...

Razzismo, nuovo caso Pro Patria: Casale 'Berretti' lascia il campo
Un altro episodio per la squadra di Busto Arsizio dopo i fatti di Boateng. Un giocatore dei piemontesi ha colpito un avversario, accusandolo di avergli detto "sporco negro". L'arbitro lo ha espulso e i suoi compagni hanno abbandonato il terreno di gioco. Per la società lombarda si è trattato di una normale azione di gioco. La Lega Pro: "Indagheremo fino in fondo"
di FULVIO BIANCHI
CASALE MONFERRATO (Alessandria) - Un altro incredibile, vergognoso caso di razzismo. Stavolta coinvolge addirittura ragazzini di 16 anni, e di nuovo la Pro Patria. Dopo i cori razzisti a Busto Arsizio, arrivati dagli spalti nei confronti di Boateng, la amichevole Pro Patria-Milan era stata sospesa, con i giocatori rossoneri rientrati negli spogliatoi. E sei tifosi lombardi, fra cui un assessore 'daspati' per 5 anni. Ora è successo un altro caso analogo nel campionato Berretti. E' stata sospesa la partita fra Casale e Pro Patria. Ecco cosa è successo dalle prime ricostruzioni. La Pro Patria era in vantaggio per 2-0, per due reti segnate al 24' (cross dall'esterno ribadito in rete dal centravanti) e al 37' del primo tempo (tiro da fuori area). Al 38' del primo tempo il calciatore Fabiano Riberio è stato oggetto di un presunto insulto di "carattere razziale, circostanza che ha suscitato un profondo sgomento nei giocatori e nello staff tecnico nerostellato i quali, autonomamente, hanno deciso di non proseguire la partita", ha scritto il Casale sul suo sito. Il giocatore Riberio, attaccante del Casale, è stato insultato da un avversario della Pro Patria, ha reagito con un pugno ed è stato espulso dall'arbitro. L'arbitro non avrebbe sentito l'insulto razzista mentre Riberio ha dichiarato: "Un avversario mi ha dato dello sporco negro...". Dopo l'espulsione dell'attaccante del club piemontese si è accesa una rissa e l'arbitro ha mandato negli spogliatoi anche l'allenatore e un dirigente del Casale. La Pro
Patria invece sostiene che non si tratterebbe di un caso di razzismo ma soltanto di una normale azione di gioco sfociata poi in una rissa.

Il Casale ha ritirato la squadra e ora, spiega in un comunicato, "si riserva di appurare quanto accaduto e la veridicità degli avvenimenti al fine di adottare i provvedimenti necessari. Nel contempo la società stigmatizza l'accaduto e si rimette a quanto sarà deciso dalle autorità federali competenti". A conoscenza dell'episodio il dg generale della Lega Pro, Francesco Ghirelli, e il capo degli arbitri, Marcello Nicchi, che hanno stigmatizzato l'episodio. La Figc aprirà subito un'inchiesta. Francesco Ghirelli ha detto: "Vogliamo che gli organi competenti appurino i fatti. Se si tratta di un episodio razzista che ha coinvolto addirittura ragazzi di 16 anni la posizione della Lega Pro è chiara: condanniamo con estrema fermezza". "Tali comportamenti razzisti non possono essere più ammessi e tollerati - aggiunge Mario Macalli, presidente della Lega Pro - Se realmente dovesse trattarsi di atto di razzismo la Lega Pro si schiererà, ancora una volta, con fermezza contro i comportamenti accaduti. Porteremo avanti una lotta senza quartiere, non sono questi i valori che il calcio e la società devono trasmettere. Andremo fino in fondo all'indagine, il calcio deve essere un veicolo di valori umani e sportivi". Gli atti saranno trasferiti alla procura federale.

"E' ora di dire basta, così a mio avviso non si può più andare avanti". E' il commento dell'allenatore del Casale Berretti, Latartara. "Quello che è accaduto è un fatto grave e vergognoso, che va preso nelle sue giuste proporzioni e lo è ancora di più se si pensa che è avvenuto all'interno di una partita giocata tra ragazzi, molti dei quali minori. E' tempo di dare un segnale forte considerato che già ci era capitato in precedenza di sentire insulti di carattere razzista. Un fenomeno che va assolutamente arginato".

 

Razzismo a Thiene

Dal Corriere del Veneto 11/01/13... effetto boateng...

Frasi razziste dagli spalti
Il giocatore ghanese si fa sostituire
Il Boateng di Thiene vittima di insulti. Il tifoso fugge. Episodio simile a quello capitato al giocatore del Milan. La vittima: «Ho pianto»
THIENE — Insultato dagli spalti, mentre era in campo a giocare la partita di calcio. «Negro di m…, sporco negro, vattene in Africa a piantare banane… ». Lui, 24 anni, prima fa cenno allo spettatore di starsene zitto, poi tenta di rispondergli dal tappeto verde. Ma le pesanti offese razziste non si placano e il giocatore, fuori di sé dalla rabbia, si fa sostituire per raggiungere di corsa gli spalti. Peccato che, colui che fino a poco prima lo aveva oltraggiato fosse già sparito. «In quel momento ero molto, molto arrabbiato - racconta Emmanuel Kofi Osei, centrocampista ghanese di 24 anni - non lo avrei affrontato ma gli avrei chiesto spiegazioni per quelle frasi che mi hanno fatto male e piangere dalla rabbia. Denunciarlo? Non è stato identificato ma se anche sapessi il suo nome non lo farei comunque: le persone ignoranti vanno lasciate nella loro ignoranza. Ma le scuse sì, le pretenderei».
Oltre un mese prima dei cori razzisti rivolti a Boateng, un’altra vergognosa sceneggiata aveva rovinato una domenica di calcio giocato. Solo che la partita non si era fermata, il gesto di ribellione dei giocatori del Milan, che per protesta hanno abbandonato il campo, non aveva ancora riempito le pagine dei giornali. A Thiene, lontano dalle telecamere, si è fermato Kofi. È accaduto su un campo provinciale, il che non cambia la gravità dell’episodio, lo ha solo fatto passare sotto silenzio. Almeno fino a ieri, fino a quando qualcuno lo ha confidato al quotidiano web thieneonline. it. Era domenica 18 novembre, e due formazioni di seconda categoria si affrontavano sul tappeto verde del Santo a Thiene, nella città che ha coniato il codice etico nello sport, iniziativa premiata di recente dal Centro Sportivo Italiano. Vittima degli insulti razzisti Emmanuel Kofi Osei, centrocampista ghanese di 24 anni, giocatore del Toniolo calcio Thiene, impegnato contro il Fara.
Un uomo di mezza età seduto sugli spalti gli ha urlato i peggiori appellativi, gesticolando come volesse mandarlo via. A trattenere e a consolare il ghanese ci hanno pensato i compagni e i dirigenti della squadra. «Ho pianto dalla rabbia, gli insulti erano rivolti solo a me, per il colore della pelle - assicura il giovane, in attesa della cittadinanza - non so il motivo di tanta cattiveria, forse solo perché stavamo vincendo. È assurdo che esista ancora il razzismo, mi sono sentito discriminato. In 12 anni che sono in Italia non mi è mai capitato nulla del genere». Nei giorni scorsi è accaduto anche ai giocatori del Milan. «Scontato il riferimento al sottoscritto - dice Emmanuel - ho pensato, bè se capita anche a loro… Ma non che fossi contento, anzi. Nel resto del mondo questo non accade,ma c’è sempre qualche stupido». Operaio, da un anno ha lasciato la casa dove viveva con genitori e tre fratelli a Piovene, per trasferirsi a Thiene, città in cui l’assessore allo sport, Giampi Michelusi, ha proposto un codice etico sportivo da rispettare, pena il taglio dei contributi alle società. «La comunità, l’amministrazione è tutta con lui, è fiera di lui - tuona Michelusi - Sono sicuro che rimarrà un episodio isolato, di una testa calda». Stesse convinzioni del presidente del Toniolo Calcio, Fabio Munaretto: «Opera di un teppista maleducato, un ignorante, di certo estraneo alle squadre e tifoserie. Dai filmati delle telecamere non siamo riusciti a identificarlo, ma dovrebbe vergognarsi. Quelle parole hanno offeso tutta la squadra, non solo Emmanuel. In episodi come questi, dovrebbero intervenire le forze dell’ordine».

sabato 5 gennaio 2013

La grinta di Boateng


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La prima impressione a pelle, che ho avuto vedendo il video di Pro Patria-Milan, è che Boateng ha fatto bene. Ho pensato "finalmente qualcuno che reagisce e se ne va". Troppe volte ci lamentiamo che nel calcio e nello sport gli atleti devono rimanere neutrali, non devono esporsi, non devono prendere posizioni politiche. Ci lamentiamo poi del menefreghismo da una parte oppure dall'altra del muro di silenzio, che il mondo del calcio ha nei confronti delle sue problematiche e contraddizioni.
Come mai una volta tanto che c'è una presa di posizione, qualcuno la critica come ipocrita? A parte il leggendario calcio volante di Eric Cantona, non si è mai visto un calciatore avere una reazione così forte e veemente nei confronti di tifosi che lo stavano insultando e provocando.
E' vero che ciò è avvenuto in un'amichevole e che probabilmente non sarebbe successo in Champion's League, però intanto è avvenuto. Per la prima volta il calcio mainstream si è fermato per un episodio di razzismo ed il fatto che l'abbia fatto il Milan dà più valore e significato. Io non credo nell'antirazzismo genuino del Milan, però sicuramente questa vicenda ha avuto il merito di rendere evidente a tutti che il problema del razzismo nel calcio c'è. La tendenza di solito è quella di negarne l'esistenza, di minimizzarlo, di dire che gli insulti sono tutti uguali oppure scappano a causa dell'emotività del momento. Forse dopo questo episodio, i prossimi giocatori vittime di discriminazioni, magari nei campetti di provincia, si sentiranno più legittimati ed avranno più coraggio a fare gesti ecclatanti come quelli di Boateng.
Io vedo, piuttosto, tanta ipocrisia nei commenti degli opinionisti, nelle prese di posizioni dei vari esponenti del mondo del calcio. Su tutti Abete, il presidente della Figc. Le sue dichiarazioni parlano di "sdegno per i cori razzisti", "richiesta di punizione per i colpevoli" e soprattutto "La vicenda di oggi – conclude il presidente Abete - conferma ancora una volta la necessità di non abbassare la guardia di fronte alla recrudescenza della discriminazione razziale e della sottocultura razzista, chiamando alla mobilitazione e rafforzando l’impegno civile di tutte le forze sane del calcio”.
Forse il primo passo di questa mobilitazione ed impegno civile sarebbe cambiare il regolamento della Figc che riflette una "sottocultura razzista" per quanto riguarda il tesseramento degli stranieri e dei figli dei migranti, anche nati in Italia, nelle giovanili. Come si può parlare di impegno civile se a causa dei comma 11 e 11bis dell'articolo 40 tanti stranieri non possono giocare nei campionati dilettanti? Se per tesserare un bambino di 7 anni nei pulcini bisogna presentare una documentazione assurda? Se per giocare nella squadra di paese devi essere residente da almeno un anno in Italia con il permesso di soggiorno valido fino a fine stagione?
Invece di dare una pioggia di Daspo inutili o promuovere iniziative di facciata, non sarebbe un bel segnale da parte della Figc cambiare il regolamento una volta per tutte?