Il 14 e il 15 Gennaio 2012 una ventina di realtà appartenenti al circuito delle polisportive e palestre popolari italiane, si sono riunite per la prima volta, nella città di Ancona, presso il centro sociale Asilo Politico, per dare forma ad un progetto comune legato allo sport e alla sua accessibilità.
La due giorni è stata caratterizzata da momenti diversi, in cui dal triangolare di calcio di sabato alla riunione della domenica, siamo stati insieme per conoscerci ed approfondire le relazioni già esistenti.
Ne è emerso un panorama estremamente vivo e ricco di attività differenti e sperimentazioni che ci hanno suggerito la necessità di intraprendere un confronto costante sia per moltiplicare le iniziative, sia per sostenerci nelle problematiche in cui ci imbattiamo ogni giorno.
Nonostante le differenze territoriali e quelle legate alla specificità di ogni proprio percorso, abbiamo tutti manifestato l’esigenza di portare il concetto di sport all’interno dei ragionamenti sui beni comuni. Anche lo sport è e deve essere un bene comune come tutto ciò che struttura i fondamentali della nostra vita.
Lo sport è vita in quanto è ricerca consapevole del benessere così come è ricerca di aggregazione e bisogno di misurarsi con esso per apprendere dei comportamenti sani e auto-educanti. Lo sport fa parte del nostro bios e ci permette di imparare a gestire il nostro corpo e quello altrui.
Abbiamo anche condiviso l’estrema forza che attraversa lo sport come mezzo per comunicare le nostre battaglie e con esso intraprenderne altre nuove. Significative le esperienze di alcune realtà in cui grazie all’attività delle palestre popolari sono riuscite a diventare punto di riferimento in molti quartieri anche difficili in cui si è ridato senso e valore all’aggregazione giovanile e all’integrazione con chi troppo spesso viene definito diverso e per questo escluso. Come non citare gli esempi di chi oggi utilizza lo spazio della palestra popolare per dare cittadinanza a coloro a cui è stata tolta: malati psichiatrici, detenuti, rom…
In questo senso ci siamo resi conto che anche inconsapevolmente abbiamo sdoganato il concetto di popolare che oggi acquisisce un nuovo significato rispetto alla capacità di includere all’interno delle rivendicazioni dello sport per tutti, anche le rivendicazioni proprie dei movimenti.
Le nostre scuole oggi, grazie alla riforma Gelmini, rischiano di perdere le ore dedicate all’educazione fisica e gli spazi in cui praticarla. Il desiderio e il bisogno di riappropriarci del nostro tempo libero per fare “ginnastica” parte anche da questa presa di coscienza.
Quando riempiamo gli spalti per seguire le nostre squadre di calcio amatoriali o di terza categoria che sia, lo facciamo condividendo quello spazio insieme ad altre persone alle quali si cerca di trasmettere i nostri contenuti e il senso della scelta fatta quando ci siamo costituiti in vere società sportive.
Vogliamo attraversare più ambiti possibili per fare emergere le contraddizioni esistenti e denunciare le profonde discriminazioni che ci sono nello sport e nei regolamenti che lo “governano”.
Per questo abbiamo voluto lasciarci con elementi concreti con cui iniziare a strutturare il nostro lavoro di rete. Innanzi tutto vogliamo aprire una campagna pubblica a livello nazionale per chiedere che venga riconosciuto come diritto di cittadinanza la possibilità per un migrante, o figlio di quest’ultimo, di praticare lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna pre-condizione.
Una battaglia di dignità che sentiamo urgente proprio in un momento in cui si moltiplicano i casi in cui la FGCI rifiuta tesseramenti di stranieri a causa dei propri regolamenti discriminatori. Indipendentemente dalle categorie in cui un ragazzo, anche figlio di seconde generazioni, vuole tesserarsi per giocare a calcio,i vincoli ed i requisiti richiesti sono troppi ed illogici sia rispetto alla composizione dei nostri contesti sociali sia rispetto alla struttura precaria con cui le nostre vite fanno i conti ogni giorno.
Questa campagna che ci vedrà tutti uniti vuole attivare un meccanismo di riproducibilità in ogni territorio in cui siamo presenti, dal nord al sud dell’Italia, per raccogliere numerose adesioni e per far nascere una discussione più ampia possibile.
Dare cittadinanza ai giovani migranti nello sport è per noi motivo di riportarlo al suo spirito originario e per strapparlo alle logiche del business e dello sfruttamento economico di cui è purtroppo ostaggio. E anche se sappiamo quanto sia importante il calcio nel nostro paese siamo anche consapevoli dell’importanza di tantissime altre discipline che vogliamo promuovere e che in parte già stiamo facendo per coinvolgere e mescolare linguaggi e pratiche diverse.
Per fare questo abbiamo pensato di dover potenziare i nostri mezzi di comunicazione per far risaltare l’enorme ricchezza di cui siamo portatori e soprattutto di continuare ad occuparci dello sport non come un nostro passatempo personale ma come ambito di strutturazione di un percorso politico in cui costruire la nostra alternativa.
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