Per rispetto a Ciro e all'intelligenza di tutti
non torniamo sul fatto che un nazista va in giro armato dopo essersi
creato proprio grazie al calcio una "nuova" identità. Un pò come i
gerarchi dei regimi latino americani che si riciclano nelle federazioni
sportive. La voglia di un calcio includente, che non si domanda da dove e
di che genere sia chi lo pratica, un calcio che ogni domenica è realtà
nei campi di Lecce e Firenze, Roma ed Ancona, Padova e Vicenza, Bologna e Napoli, Genova, Taranto
e un sacco di altre città è più che una realtà. Il proliferare di
polisportive popolari e squadre è la risposta a uno sport che non ha più
un futuro se non questo e che si trincera in fortezze militarizzate
dove perfino il racconto di ciò che accade è omertoso. Dove si cerca di
mostrare ciò che non è, con la faccia tosta di chi sa che tanto va bene
così. Media collusi con un sistema che si auto alimenta, si commenta e
si processa da solo. Ma al lunedì soltanto, s’intende.
Il calcio che vogliamo noi è di parte. Partigiano
anzi. Perché resiste e contrattacca, rilancia e propone alternative
possibili, vere, che sono destinate a crescere e proliferare. Questo è
lo sport vero, altro che…Se pensiamo poi che gli sport olimpici sono in
mano alle forze armate, che il CONI è un baraccone e
che lo sport italiano è legato alla stessa gente da sempre rimane una
sola strada percorribile: que se vayan todos.
E capiamoci, è la morte di Ciro che
inesorabilmente indica di che malattia è vittima il Dio pallone, non
l’uscita da un mondiale.
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